SPARTITI – AUSTERITA’

8 Marzo 2016

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SPARTITI

AUSTERITA’

(Cd+Libro; 2LP vinile)

( Woodworm /Audiglobe)

Austerità è il primo capitolo ufficiale di Spartiti ed è il compimento di un percorso che Jukka Reverberi (Giardini di Mirò, CrimeaX e molti altri progetti) e Max Collini (Offlaga Disco Pax) hanno intrapreso, inizialmente con piglio estemporaneo e decisamente frammentario, nell’oramai lontano 2007 e che nel corso del tempo è diventato molto più strutturato. Talmente più strutturato che al momento di darsi un nome che codificasse il passaggio da semplice divagazione fuori dai propri ambiti abituali ad esperienza artistica autonoma e progressiva i due hanno scelto quello che di norma identifica la musica scritta, formale e immutabile. C’è, ma era inevitabile visti i soggetti in campo, una parte di surrealismo militante in questo definirsi, visto che nessuno dei due viene dalla musica classica, esclusa qualche polverosa lezione di piano presa da Collini durante i governi di unità nazionale. Austerità nasce dal cementarsi di un sodalizio che prima di affrontare questo esordio ha macinato decine di concerti negli ultimi due anni. Quegli spettacoli

hanno forgiato un repertorio consistente e una cifra stilistica propria rispetto alle molteplici esperienze che il duo ha accumulato separatamente altrove. Austerità segna anche il passaggio di Spartiti dalla fierissima e totale autoproduzione del primo periodo al contratto con Woodworm, ambiziosa indipendente che accompagnerà questa nuova fase, fase che evoca fin dal minimalismo avanguardista delle grafiche di copertina il novecento prossimo venturo, confidando nel perdono di Kazimir Malevič. L’album verrà distribuito da Audioglobe in due formati: un sontuoso e curatissimo libro+cd e un classico doppio Lp

in vinile, i cui artwork suprematisti sono stati realizzati da Tomm Belletti (Secret Furry Hole). Quale che sia la vicenda antecedente alle registrazioni, non si tratta di certo della fotografia di un esistente già consolidato, perché l’indole rimane quella dei due passi in avanti e uno indietro. Dopo un primo vagito con sei brani, registrato dal vivo nel 2014 (ed esaurito da mesi) una volta trovatisi in studio Max e Jukka hanno preferito non soffermarsi esclusivamente su quanto già caratterizzava le esibizioni sul palco, cercando di andare oltre, sia in termini di scelte testuali e che nelle ambientazioni sonore. Il risultato finale è stato che quelle che nascevano come narrazioni in molti casi sono diventate vere e proprie canzoni, per quanto non convenzionali, e che le storie più lunghe sono state quasi sempre sacrificate sull’altare della sintesi. Di quella prima autoproduzione è sopravvissuto quindi un solo brano (Vera) e una buona metà dei pezzi del disco sono completamente inediti e mai proposti nel lunghissimo tour conclusosi nella scorsa estate. Nell’opera sono perfettamente Spartiti anche i compiti, come sempre. A Jukka la produzione artistica (coadiuvato in studio da Andrea Rovacchi al Bunker di Rubiera), le musiche, gli arrangiamenti, il suono e la coesione complessiva del lavoro, responsabilità affrontate per la prima volta da solo nella loro interezza. A Max le scelte letterarie, la scrittura, la voce, l’ansia, la leggerezza e, a tratti, perfino la laconicità. L’Austerità del titolo, nell’accezione berlingueriana del termine, è il punto di incontro delle culture letterarie di Max (classe 1967) e quelle musicali di Jukka, nato nel ’76 e diventato adulto in un mondo in cui il Partito Comunista Italiano “non esisteva più” e in cui quel vuoto è stato colmato, almeno in parte, dalla sua instancabile passione per la musica altra. È stato proprio a partire dai primi esperimenti con Reverberi che Max ha iniziato a cimentarsi con testi letterari contemporanei e tratti dal lavoro di altri autori, a cui poi ha aggiunto l’arredo dei propri, in un labile equilibrio mantenuto anche nell’album. Un album che cerca di essere coerente al principio secondo cui la musica è politica prima nei modi in cui si propone che per suoni o contenuti. Tra le scelte stilistiche relative alla parte musicale spicca l’assenza di drum machine e batterie programmate, lasciando il compito delle ritmiche esclusivamente ai campionamenti. L’ambiente risulta eterogeneo, ma la convivenza di più registri è sempre funzionale alla narrazione e si coglie ugualmente una sensibilità univoca sia negli arrangiamenti che nel senso melodico complessivo. Da tutto questo scaturisce un album nel quale, caso ormai raro nel grande prato verde della musica indipendente italiana, la new wave e gli anni ottanta risultano, in merito al suono, non pervenuti.

L’incipit è Io non ce la faccio, che è anche l’inizio di uno dei libri più belli di Paolo Nori (Bassotuba non c’è). Segue a ruota Austerità, il primo singolo, la canzone che dà il titolo al disco e la chiave di volta che ha trasformato le ambizioni principalmente narrative di Spartiti in un laboratorio emotivo e sonoro dalle conseguenze imprevedibili. Al paragrafo successivo troviamo Babbo Natale, un brano in cui il lutto ideologico di intere generazioni di italiane e italiani viene elaborato attraverso gli occhi di un bambino (il testo è tratto da un racconto di Simone Lenzi dei Virginiana Miller). Non c’è però spazio solo per il minimo comun denominatore in questo disco, che affronta da par suo in Sendero Luminoso anche il massimalismo di Abimaél Guzman, il “compagno Gonzalo”, in un esilarante documento redatto da Arturo Bertoldi e Max Collini nel 1986. Segna la metà ideale dell’album Vera,il pezzo più lungo e l’unico già edito nel cd dal vivo originario.

Baglioreci restituisce invece epoche recenti ed è un delicatissimo ritratto di esistenze incrociatesi per brevi frammenti e poi separate per sempre da eventi biblici.

Non crediamo che agli sportelli di un piccolo istituto di credito cooperativo sia mai stata dedicata una canzone, ma i tempi sono davvero maturi per Banca Locale. Allo scoccare della citazione (de) Gregoriana che conclude il brano precedente ha inizio Nuova Betlemme, stupefacente ricostruzione storica delle vicende del medico Basilio Albrisio, l’unico eretico di Reggio Emilia che venne processato a Roma dall’Inquisizione.

Austerità si conclude al nono giro, dove Ti aspettocontribuisce alla definitiva soluzione dei vostri problemi sentimentali. Il testo di Simona Vinci, dal suo libro “Stanza 411”, non fa prigionieri, mentre l’unica chitarra acustica che ha trovato posto nell’album rimane a consolarci nel deserto rosso dell’amore sconfitto.

AUSTERITÀ(brano per brano)

1) Io non ce la faccio

La catastrofe imminente della propria esistenza annega nell’ironia rassegnata e consapevole di un linguaggio dirompente, restando tuttavia aggrappata ad una nota di chitarra che da sola potrebbe sopperire a tutto il medio evo del nostro scontento.

Oppure no. Le frasi sono scandite da una chitarra che lavora come una telescrivente,

il suono si sgretola mentre la vita moderna ha dei ritmi e delle pretese che tenerci dietro,

io non ce la faccio. (Il testo è l’inizio del romanzo “Bassotuba non c’è” di Paolo Nori,

edito da Feltrinelli).

2) Austerità

Una macchina del tempo che in un amen ci riporta al 1973, quando tutto doveva ancora accadere ma il mondo si era già presentato esattamente per ciò che non saremmo riusciti nemmeno lontanamente a immaginare. Tra l’allora e l’adesso le chitarre di Jukka, capaci da sole di spiegare gli arcani, dispiegandosi ben oltre quello che vuoi. Una canzone a tutti gli effetti e primo singolo dell’album.

3) Babbo Natale

Non tutti hanno avuto la fortuna di avere dei genitori comunisti, ma pochissimi certamente hanno scoperto la vera identità di Babbo Natale nel luogo austero per eccellenza: l’ufficio di un Segretario di Sezione del Partito Comunista Italiano. Il punto di vista di un bambino sul materialismo storico e sulla dittatura del proletariato si svela tra atmosfere rarefatte ed elettronica minimale. (Il racconto “Babbo Natale” è di Simone Lenzi dei Virginiana Miller ed è stato pubblicato nel suo libro Mali Minori, edito da Laterza nel 2014)

4) Sendero Luminoso

Esercitarsi alla via peruviana al maoismo descrivendo una vera, si fa per dire, gioventù rivoluzionaria nostrana. Un comizio di sette minuti in cui il linguaggio parossistico viene portato alle sue estreme conseguenze da una batteria monocromatica e un riuscito armamentario di distorsioni spaziotemporali. Una trollata memorabile con trent’anni di anticipo, al termine della quale anche voi urlerete convinti “Ai machete, Compagni!”.

Nei paradossi del furore ideologico del Compagno Gonzalo ci sono perfino alcune verità:

i partiti maoisti citati sono tutti realmente esistiti e uno di essi, quello nepalese, è addirittura andato al potere di recente. Nessuna notizia invece del Sarbedaran, il partito comunista persiano che nel 1982 cercò di fare la rivoluzione rovesciando armi in pugno (!) il regime sciita dell’ayatollah Khomeini  (!!) per instaurare, in Iran (!!!), il Socialismo (!!!!).

Velleitari, ma giusti. Vennero sterminati. 

(Il documento Dagli Appennini alle Ande venne redatto nel 1986 dai compagni Arturo Bertoldi e Massimiliano Collini e poi ciclostilato in proprio in via Toschi 23 a Reggio Emilia)

5) Vera

Una storia dei profondi anni ottanta che ripercorre vicende che furono realmente politiche solo per sentito dire. Avventurismi movimentisti durante il riflusso contrappuntati dalla partitura concreta di Jukka Reverberi, che sembra uscita dagli archivi sonori della Rai.

Tra i barriti del sax di Valerio Cosi e i tasti rarefatti di un pianoforte solitario all’apparenza dimenticato vagano borborigmi diffusi a sottolineare l’esasperante presunzione di una gioventù (sedicente) marxista alle prese con l’intraprendenza dell’adolescenza altrui.

6) Bagliore

La melodia di due chitarre intarsiate sorregge un breve ritratto intimissimo con un drammatico epilogo. Durante il lungo finale la notte svanisce al piano di sopra.

7) Banca Locale

Un fotoromanzo trip hop sulla grande confusione a venire sceneggiato nel paradiso dell’economia cooperativa. Il matrimonio perfetto contempla gli abissi della finanza creativa socialdemocratica, con buona pace di Gary Cooper e J.R. (ops!) Ewing.

Maria Elena Boschi, ora pro nobis.

8) Nuova Betlemme

Agli albori dell’età moderna, appena dopo il Concilio di Trento, un eresiarca dalla grandiosa demenza ereticale decise che la città di codesti Spartiti, Reggio Emilia, sarebbe diventata la sua Nuova Betlemme. Tra suoni vagamente messianici, misticismi ecclesiastici e dodici apostoli sorprendenti fa capolino, nei secoli fedele, l’Apocalisse.

9) Ti aspetto

Il congedo arriva dopo una sentenza inappellabile. La voce di un uomo racconta l’invisibile agli occhi descritto da una donna. Come una goccia che scava la pietra del cuore chitarre lontane sempre presenti riaffiorano sulla riva sinistra, mentre un pianoforte cerca di trattenere la deriva dei sentimenti. Una pagina definitiva e violentissima al confine tra quello che avrebbe potuto essere e quello che non sarebbe stato mai.

(Il testo è tratto dal romanzo “Stanza 411” di Simona Vinci e pubblicato da Einaudi

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