OFFLAGA DISCO PAX – GIOCO DI SOCIETA’

OFFLAGA DISCO PAX
GIOCO DI SOCIETA’
(Odp #155 – Venus distribuzione)
cd (digipack); – LP (vinile 180 gr. con cd allegato)
Non è strettamente necessario lanciare i dadi per muoversi sulle caselle della plancia di “GIOCO DI SOCIETA’ ”, il terzo capitolo del romanzo zdanoviano intitolato OfflagaDiscoPax e marchiato a fuoco con il numero di catalogo Odp #155. Reggio Emilia, patria del collettivo, è il primo piano o lo sfondo in cui si dipanano quasi tutte le storie narrate nel disco. La sua pianta a sei lati viene congelata nel simbolico artwork di Enrico Fontanelli in quello che appare alla vista e nella pratica come un vero e proprio tabellone di gioco. La forma esagonale della città diventa una unità di misura sociale, una figura attorno o dentro alla quale raccogliersi, misuratrice di passi più o meno svelti. La vita è solo una partita ad un qualsiasi gioco di società e gli ODP se la giocano dentro e appena fuori le mura della loro città, mura reali poi abbattute dal tempo per facilitare lo scambio tra interno ed esterno e favorire la prima espansione residenziale e produttiva. Architettura a due dimensioni, Reggio Emilia ed il suo trattore R60 soffocati e lasciati a terra dal piano Marshall, il ballo liscio sugli scaffali di un negozio di dischi tra la techno di Detroit e quel dancefloor di Manchester. Due stadi, due caselli, due stazioni, quattro fontane senza saper scegliere semplicemente se stessa fra tutte, cancella rinnovando la propria storia sostituendola con un futuro che molti credono qui. Otto strati di glorioso passato ricoperti dalla modernità di muri bianchi poi ridipinti a colori insoliti da un poeta di passaggio e grandi strutture che vantano un presente di spot pubblicitari. Giusto il tempo di scivolare davanti ad un cartello di benvenuto che una volta passato poi Reggio Emilia non arriva mai: solo campi e svincoli ad accogliere e rappresentazioni di re inginocchiati sulla neve matildica a chieder perdono. Reggio Emilia non più al centro, ma accerchiata.
Balere ai piani interrati dimenticate alle porte della città, demolite quanto basta per scheggiare la pista da ballo. Promesse di riscatto non mantenute, case popolari là dove una volta sorgevano capricci di principesse e ora il vuoto di chi non sa colmare.
Le tre teste quadre, o esagonali, di Daniele Carretti, Enrico Fontanelli e Max Collini hanno messo sul piatto una nuova avventura registrata in perfetta e solitaria avanguardia nel Bunker studio di Rubiera (RE) dalle mani analogiche di Andrea Rovacchi, che ha poi anche missato il tutto di lì a poco e nei paraggi. Il risultato mira all’essenziale ed è dedicato a chi è abituato ad ascoltare più di altri l’incedere vago dei propri pensieri. Le caselle esagonali dell’album sono state tutte scritte lo scorso anno, tra una saletta prove del Calamita di Cavriago ed una cucina abitabile sulle colline di Viano, immersi nel loro disincantato piccolo mondo antico dagli occhi ben aperti sul resto.
Un album nato e cresciuto a 33 giri: lato A, lato B, dimensione dell’ascolto come ce lo ricordiamo prima dell’imposizione dei 74 minuti e presentati in un sontuoso vinile oltre che nel normale cd – digipack. Un “GIOCO DI SOCIETA’ ” le cui regole sono stabilite dall’ascoltatore,
in caso di necessità, e che racconta con ritmiche pulsanti di vita, rare chitarre e parole a volte dimesse e dismesse. Luoghi ed ambienti sonori da scoprire per le storie che gli ODP sanno vestire, luoghi di una città “zitella” che ha dato i natali al tricolore ma che ha portato in grembo molto, molto altro da allora. Un palazzo nobile diventato la storica sede del Partito (“Palazzo Masdoni”) dove ci si vuole addirittura finire ad abitare, scene minime di lotta di classe all’ombra di una ingombrante sequoia nella campagna locale (“Sequoia”), un palazzetto dello sport famoso per un leggendario concerto dei Police, visto dagli occhi di un ragazzino (“Respinti all’uscio”) sino ad un antico canto degli Ultras Ghetto, gruppo di tifosi granata che prese in prestito “Per i Morti di Reggio Emilia” per chiarire subito agli avversari da dove si veniva e dove si voleva andare. Ma la città e la sua società che diventa gioco nascondono anche storie d’amore finite appese ad un muro (“Desistenza”) e storie d’amore finite e basta (“Parlo da solo”, primo singolo e primo video dell’album). Ci si allontana di rado da casa nel disco e nel caso si viaggia a due ruote in uno struggente brano dedicato all’impresa maldestra del ciclista olandese Johan Van der Velde (“Tulipani”) rievocato in un santino da Dorando Pietri postmoderno. Poi si torna alla cronaca, con una novella volta a dimostrare che non solo lavorare stanca, ma può fare parecchio male (“A pagare e morire…”) a causa di un “incontro” spiacevole con un manesco drop out tabagista.
Siccome le tracce non sono in realtà otto ma nove, eccovi prima dei brani narrati una intro strumentale lunga quel tanto che basta per fare ballare i due dadi nella mano. Reggio Emilia, indossa un vestito che non portavi da tempo ed esci a giocare con noi. Buona partita a tutti.
Gioco di Società (brano per brano).
Lato A)
1) Introduzione
Prove tecniche di trasmissioni consumate da decenni di passaggi, sintetico fluire e costruire che svanisce ad introdurre.
2) Palazzo Masdoni
Il PCI della libertà in una casa. Almeno così poteva sembrare ad un giovinastro emiliano che cercava di sopravvivere agli anni 80 di una periferia qualunque dell’impero. Siamo dentro Palazzo Masdoni, dove gli ambienti vuoti e abbandonati si riempiono via via di ricordi a colorare una consapevolezza che sfocia nel fragore del presente, plasmando ritmi da solitudine urbana. Immerso nelle pile polverose di Critica Marxista ecco un imbuto al contrario che riapre una porta ormai chiusa sul bordo del precipizio. Sette minuti di rappresentazione ambientale spartita tra spilli di suono, morbido avanzare e fragoroso sfociare in chitarre a sgretolare l’intonaco.
3) Parlo da solo
Segni del tempo, Manchester e Detroit che a metà 80 si incontrano nel mezzo dell’atlantico con giro di basso a fare da ponte. Monologhi di un amore sul binario morto, camminando per strada. E state tranquilli che non si tratta di un auricolare. Una dichiarazione d’intenti mentre un Prodi (gy) ti liquida e un basso ti scarica. La rassegnazione del non bastare nella dolcezza furiosa del non capire. Primo singolo e primo video tratto dall’album.
4) Respinti all’uscio
3 aprile 1980, quando la musica era ancora leggenda e sudore. Non sappiamo se il quarto brano nasconda una qualche citazione ai Police piuttosto che alla polizia intervenuta a sedare la rivolta di quella sera, là
dove la quiete preadolescenziale sul rincorrersi di note sognanti o solo sognate viene improvvisamente interrotta dalle luci dello spettacolo (o dal fuoco delle molotov). Pochissima plastica. Nessun video promozionale.
I ricordi altrui come fossero tuoi. Ti sei perso qualcosa quando dopo Carosello andavi già a letto? La città era viva, non lo avresti mai detto.
5) Piccola Storia Ultras
Dal palazzetto allo stadio il passo si direbbe breve, ma attraversare la città richiede tempo, negli anni. La quiete delle mura domestiche e l’incalzare che ti trasporta seduta stante tra le gradinate del Mirabello, poi su di nuovo in Piazza Martiri del Sette Luglio (1960), verso il crollo strutturale di un finale che non era ancora stato scritto e non potremo comprendere se non tra altrettanti passi. Chi sta ancora in piedi celebri i caduti con una danza contenuta da rispetto e devozione. Cassa dritta a perno di un collettivo sintetico riunito che prima o poi prenderà il sopravvento sul singolo, come accade in una curva. Non deve stupire che gli Ultras della Reggiana avessero scelto la melodia di “Per i Morti di Reggio Emilia” per presentarsi al mondo. Politica e pallone: una partita che adesso si gioca solo su schermi piatti, in diretta da Tripoli.
Lato B)
6) Sequoia
Ludico spensierato ticchettio, passeggiata mattutina. Dove il piano riporta alla realtà ritornano i quattro quarti in un finale da ritornello in cui tutto il messo da parte prima ritorna in gioco poi.
“Tannomai” raccontato la lotta di classe a cavallo di un’altalena? Non siamo tutti uguali.
Nemmeno da bambini. Due nonni mezzadri e una sequoia al posto di un olmo che ha visto passare sotto ai suoi rami la storia. Una cicatrice che ci permette di non dimenticare, perché solo ricordando possiamo riuscire ad evitare quello che non abbiamo mai visto, ma che possiamo capire. Con un piccolo omaggio agli Ustmamò, citati nella parte finale del testo).
7) Tulipani
Discesa in basso, vista dall’alto morbida, precipitazione di note scandite. L’elettrodinamica slitta sulla catena mentre un Wurlitzer rotola in Valfurva. Applausi secchi incoraggiano una corsa interrotta, poi ripresa, poi di nuovo interrotta. Un’impresa a cavallo con tiro a due ruote tra vera leggenda e verosimili dettagli. Johan Van der Velde, il ciclista olandese che ha osato sfidare l’impossibile e destinato a perdere. La glaciazione affrontata in maglietta in un giugno da tregenda sulle alpi preleghiste. La prova certa che nessun doping ti salverà dal freddo.
8) Desistenza
Un riff killer uccide il sentimento dopo qualche giro di valzer… pardòn, di basso.
Sincope emotiva. Congedo senza fine, robotico, premeditato. Abbandonato in una fotografia, con la sicurezza che anche le fotografie muoiono. Per consunzione. E alla fine della danza resta solo il gelo in una stanza. Ora e sempre, desistenza.
9) A pagare e morire…
… si fa sempre in tempo, dice il proverbio. E non si scherza con l’affitto, nemmeno un poco. I pericoli sono ovunque, anche dietro la porta di un appartamento sotto sfratto. Perché la via borghese al mattone in centro (con cognome già sentito) può sempre diventare una banlieue.
Echi hiphop alla base, chitarra che cita nei denti e riverberi che graffiano lenti basse potenti. Fuga da Reggio Emilia senza fretta alcuna, ghetto blaster in spalla, fa la cosa giusta. Ivan Drago, ora pro nobis